Chi era
sullo scoglio
FRANCO, Ciccio per tanti amici, nacque il 20 agosto del '42 a Trapani, in via Carolina, a Turrignì, sull'estremo lembo occidentale della città, quartiere di pescatori stretto nell'abbraccio del mare e protetto dalla torre di Ligny.
Presto orfano del padre, non si staccò mai dalla madre e dalla sorella, rimanendo single, "schettu", per incrollabile scelta, per dedizione a quella singolare famiglia "allargata" e ai due nipoti, con affetto quasi paterno. Trovò un impiego al comune, ma aveva già incominciato a scrivere, soprattutto di sport, fin dagli anni del liceo classico Ximenes, inaugurando precocemente la sua carriera di pubblicista, in un sodalizio d'amici più o meno coetanei per i quali il mestiere, l'artigianato della scrittura e del giornalismo, come la passione sportiva, erano emblemi di uno spirito insieme onesto e romantico, in cerca di una società migliore, forse di un sogno non ancora scalfito dal tempo, dall'esperienza.
Giornalista pubblicista dal 1968, già nel '62 seguiva il calcio giovanile per L'Ora di Palermo e cominciava a collaborare con il Trapani Sera, di cui - salvo un periodo negli anni Settanta - curò la pagina sportiva fino a quando il giornale rimase in vita. Fu corrispondente sportivo di Telestar, del Giornale di Sicilia, della Gazzetta del Sud, del Corriere dello Sport, della RAI; collaborò con Il Guerin Sportivo (Settimanale di critica e polemica sportiva),
E' un assordante ricordo di famiglia il ticchettio della macchina per scrivere e la veloce dettatura telefonica degli articoli, attraverso la porta chiusa del suo studio.
Dall'83 all'86 compilò gli Annuari del calcio provinciale; Il Trapani in schedina e Chiarpotto e dintorni sono del 2000; nel 2004 curò il libro sui cinquant'anni della Juvenilia e collaborò alla biografia di Pia Conticello; nel marzo del 2005 e nel novembre del 2006 pubblicò finalmente la Storia del Trapani Calcio, in due volumi, la sua opera più impegnativa.
Ma già dalla fine degli anni '90 aveva cominciato a mettere a frutto, in lavori non più solo sportivi, la sua passione, da sempre coltivata, per la storia della città, una storia minore e minima. Così nel 2002 ideò la collana Per non dimenticare, sobri volumetti (stampati a sue spese e distribuiti da solo) che esplorano la memoria di questa terra, preziosa collezione di frammenti - fotografie, testimonianze, ricordi - tenacemente cercati e raccolti con la frenesia e l'amore esclusivo, un po' disperato, di uno storico, di chi vorrebbe mettere in salvo qualcosa che gli appare ormai sull'orlo della sparizione, dell'oblio: la città dopo i bombardamenti e l'occupazione anglo-americana; le scuole (Umberto di Savoia) e i maestri; le chiese (il Sacro Cuore di Gesù) e gli oratori; e poi arti, mestieri, spettacoli, vecchie strade, case, oggetti, costumi, parole, cose che scrutava con un suo microscopio, la lente speciale di una prodigiosa memoria storica; eroici atleti scomparsi; poeti e drammaturghi dimenticati: Tito Marrone (1882-1967), cui dedicò uno "speciale" nel quarantesimo anniversario della morte, dopo essere stato componente della commissione giudicatrice (presieduta da Renzo Vento) che nel 2003 votò per l'intitolazione del teatro provinciale allo scrittore trapanese (leggi la recensione del volume di Maurizio Vento dedicato a Marrone); e, ancora, epici campionati studenteschi perduti nel tempo, le vecchie glorie granata riunite in romantiche e struggenti rimpatriate (nell'84, e poi con Trapani, amore mio, del 2003), persone illustri o volti anonimi nella folla di antiche foto color seppia, ai quali ha saputo dare un nome, una storia, una voce, malinconici o allegri fantasmi che notte e giorno sussurrano, chiacchierano dagli album, dalle pagine (persino dagli appunti dei molti progetti rimasti in cantiere: uno si sarebbe forse intitolato 'I me nanni dicianu...). Vasto archivio che ora attende di essere valorizzato e divulgato, incompiuta eredità lasciata a tutti i trapanesi.
Dietro c'erano il cruccio, l'ansia, lo sgomento per la progressiva, inesorabile scomparsa di un mondo amato, povero e generoso, di antichi valori condivisi e perduti, rimpiazzati dal saccheggio della città e della comunità (saccheggio morale, civile, politico e criminale), che osservava con sguardo sempre più feroce, impietoso, amaro, senza rinunciare al suo punto di vista defilato, appartato, certo pessimista, col peso di troppe battaglie perse, di troppi ideali sconfitti, ma immerso in un suo profondissimo riserbo cristiano, forse ancora un poco fiducioso nel potere di una fragile, quasi simbolica testimonianza individuale (e non solo individuale: fu tra i fondatori e animatori della sezione trapanese dei Veterani dello Sport, intitolata - per sua proposta - a Pio Oddo), con un bisogno di puntigliosa, inflessibile critica e di quasi esclusiva dedizione a un lavoro solitario, di scavo nel passato, di ripiegamento in sé stesso (al di là della stima, dei riconoscimenti, dell'autorevolezza cresciuta con gli anni). Ciò che l'aveva spinto ad allontanarsi persino dalla scrittura giornalistica (non dai rari, fraterni amici di sempre), ripresa alla fine con pochi, durissimi interventi sulla rivista trapanese Extra, di Nicola Rinaudo, che generosamente ha continuato a pubblicare, postumi, gli articoli rimasti nel cassetto (come pure alcuni versi inediti in lingua e in dialetto, esclusi dall'unica raccolta poetica, La mia corsa, del 2006, o scritti dopo).
Fino alla sera prima di morire all'improvviso, il 27 marzo del 2009, Franco lavorava alle memorie di Giovanni Oddo, "il più grande sportivo trapanese di tutti i tempi".
Alla nipote Mariangela, che una volta gli aveva chiesto se da piccolo, in famiglia, parlasse italiano o siciliano, rispose con un'alzata di spalle: "Iò sempri accussì aiu parlatu". Una sola, libera e limpida, era la sua madre lingua, lingua madre. Terra e casa dell'infanzia, della memoria. Dispensa e cucina di tutti gli odori.